lunedì 25 gennaio 2016

"Il volo di Sara" di Lorenza Farina e Sonia MariaLuce Possentini, Edizioni Fatatrac


Il Volo di Sara”, con i testi poetici di Lorenza Farina - bibliotecaria di mestiere, autrice per passione - e le delicate illustrazioni di Sonia MariaLuce Possentini, edito da Fatatrac, è un albo che riesce a parlare con tatto ai bambini di un argomento molto difficile e doloroso, quello dell'Olocausto. Qui e qui i link al blog della casa editrice con post dedicati.

Il punto di vista è molto interessante e insieme simbolico. Infatti, la storia viene raccontata da un pettirosso, un passeriforme che con il suo canto con trilli e gorgheggi, è presente in inverno in Europa. Questo piccolo batuffolo, che spicca nella neve, osserva da lontano quello che succede in un campo di concentramento. Il suo petto colorato e gonfio, la sua piuma rossa che svolazza nel cielo bianco e qualche bacca sui rami quasi spogli degli alberi si stagliano nel grigiore dei reticoli del filo spinato che circondano le baracche grigie e in cui vagano uomini scheletrici, tra fango e sudiciume. Intorno l'odore è acre e pungente, talmente nauseabondo da non riuscire a essere portato via dal vento.

La “monotonia” viene presto interrotta dall'arrivo di un treno (bellissima l'inquadratura, l'osservatore viene quasi travolto dalla locomotiva che ha una sbarra rossa, unica traccia colorata della pagina), non un treno qualsiasi, ma un carro bestiame, sprangato.
Un cartello con due scritte e con un teschio ci indica che il posto non è accogliente.
Infatti, all'arrivo, il rumore assordante e lo stridio del velivolo in frenata si accompagnano alle grida concitate dei soldati accompagnate dai latrati dei cani al guinzaglio.

Dai vagoni scendono donne, anziani bambini. Tutti volti scuri, dalle facce quasi irriconoscibili. Spicca solo la spilla di Davide, il marchio scelto per riconoscere gli ebrei dagli ariani.


L'incontro

Fu allora che la scorsi
Il pettirosso viene colpito dagli occhi grandi di una bambina dai capelli scuri raccolti in un nastro azzurro come il maglione.

L'intesa è reciproca.

 “Ad un tratto la bambina sollevò lo sguardo e mi vide «Mamma, guarda un pettirosso» mormorò, sorridendo appena”.

Ma non c'è tempo per la meraviglia perché Sara - così si chiama la protagonista, che in ebraico significa “principessa” - viene strattonata e allontanata dalla mamma, che non vedrà più.

Il pettirosso sceglie, allora, di vegliare su di lei, di farle compagnia e darle quelle attenzioni e la cura necessarie a una bambina di quella età rimasta, di fatto, "orfana".
E decide di essere la sua voce. Parlare per lei. Parlare anche per i suoi occhi.


Il racconto si dipana mostrando cosa succede ai bambini, attraverso i dettagli: "le fecero togliere il vestito azzurro che la mamma le aveva fatto con le sue mani. La costrinsero a indossare una casacca a righe, molto più grande della sua taglia, con una stella gialla cucita sul petto.
Poi le tagliarono i bei capelli scuri, che scivolavano come piume sul pavimento insieme al nastro azzurro che li tratteneva. 

La fecero coricare in una cuccetta, ammassata insieme ad altri bambini infreddoliti e impauriti come lei".

La potenza delle parole - bellissima l'immagine dei capelli che cadono come piume, la simbiosi tra i due è unica - è accompagnata da quella delle immagini, in cui risalta in primo piano il nastro azzurro, unico elemento di colore e di spicco tra i volti grigi ovattati dei bambini pelati.
In volo verso la libertà
Il pettirosso va a trovare Sara la notte - il momento in cui il terrore aumenta e si ha bisogno di una coccola, di una carezza, di dolci parole - le accarezza il viso con le piume, cinguettandole racconti fino a farla addormentare.

Di giorno, invece, le raccoglie il cibo che trova quà e là, anche se la scopre sempre più magra e deperita, spaesata nella neve, a piedi nudi in mezzo al gelo.

Ma una mattina l'uccello non la trova più nella baracca, ma in fila insieme a molti altri bambini e si accorge del fumo che esce dai forni (Sara aveva sei/sette anni e il suo destino era segnato).


La bambina lo nota e gli sorride, anche se il suo sorriso è stanco.

"Poi ondeggiò con estrema lentezza le braccia esili, come se stesse per spiccare il volo"

Ed è così che il pettirosso decide di “prestarle” le sue ali per fuggire via.

"La vidi vibrarsi nel cielo non più grigio ma azzurro come il vestito che ora indossava, come il nastro che ora le cingeva i capelli".

Un finale poetico, denso di speranza e libertà.

Un uccello preso a esempio come simbolo della libertà.  Chissà se le due autrici hanno deciso di scegliere il pettirosso per un motivo preciso. Ci sono diverse leggende riguardo a questo volatile. Inoltre in inverno il suo canto, che è una vera e propria melodia, reca allegria anche nelle giornate senza sole e fredde. Chissà, se per le sue penne arruffate che trattengono calore e il suo petto dai colori caldi, che contrastano a perfezione con il grigiore e la ruvidezza del filo spinato e del paesaggio circostante.
L'albo inizia con una poesia “La canzone dell'uccello” (1941) tratto da “La Shoah dei bambini: poesia e disegni da Theresienstadt”, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione.

Un albo davvero portentoso, sia per il testo sia per le immagini, in cui i dettagli colorati si stagliano nel grigiore delle tenebre, del buio, dell'abisso. Il grigio e il nero che raccontano l'orrore, pur nella loro poesia e delicatezza.

Le immagini, le inquadrature hanno un forte richiamo alla fotografia, ai famosi "punti di forza" che catturano lo sguardo dell'osservatore, mettendo ancora più in risalto i dettagli e sono capaci di far emozionare tanto.

Un albo da leggere insieme ai bambini, perché loro sono vicini alla poesia, e per affrontare con loro il tema delle crudeltà, non solo quella avvenuta nei campi di concentramento, ma anche quella perpetrataai giorni nostri a cui spesso, forse, non prestiamo la giusta attenzione.

Un albo per riflettere, che ci dona a speranza, la speranza che qualcosa di bello e poetico possa sempre accadere, anche in mezzo alle brutture del mondo.

Tornando a uno dei due link sul blog di Fatatrac (citati a inizio del post), mi hanno colpito particolarmente queste frasi, che faccio mie nei contenuti, pur non essendone l'autrice
"Sarà che anno dopo anno, nuovamente, tanti ne parlano, lo leggono, ci inviano messaggi.

Sarà che le fotografie di presentazioni, disegni dei bambini, lettere arrivano via FaceBook, via twitter, via mail.
 
Saranno tutte queste cose, e molte altre, che si consolida sempre di più la convinzione che l'esercizio della memoria andrebbe dilatato a tutto l'anno e non contingentato al puro ambito scolastico e che i bambini, a questo, sarebbero prontissimi.
Andrebbe condiviso in tutti gli ambiti frequentati dai bambini questa attitudine al ricordo, mediato dalla narrazione. Il suggerimento è di leggere questo, e libri come questo, tutto l'anno a scuola e nelle famiglie.
"

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